"Asia Maior 2013"
Michelguglielmo Torri e Nicola Mocci
IL DRAGO CINESE E L’AQUILA AMERICANA SULLO SCACCHIERE ASIATICO
Asia Maior 2013
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L’Asia stretta tra la Cina e gli Stati Uniti
[DALLA PREMESSA DI NICOLA MOCCI – SINTESI DI A.BENEDETTO CSV]
1. Introduzione
Il 2013 è stato un anno di transizione dal punto di vista della politica internazionale nell’Asia Maior [Asia Maior è stata la definizione utilizzata nel 1989 da Giorgio Borsa, fondatore del gruppo omonimo, con la quale intendiamo quella parte dell’Asia delimitata ad occidente dai paesi arabi e dalla Turchia e a settentrione dal Caucaso e dalla Russia asiatica], se si considerano soprattutto le relazioni tra le due grandi potenze mondiali, la Cina e gli Stati Uniti e tra i nuovi poteri globali emergenti, come i paesi del gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). In effetti, il 2013 è stato un continuo palcoscenico di incontri, tra nuove e vecchie leadership, volti alla conoscenza reciproca dei propositi sulle questioni della sicurezza e dell’approvvigionamento delle risorse energetiche. Ma da questi incontri, in definitiva, è emerso solo un consolidamento dell’ideologia neoliberista e il rafforzamento delle politiche che in teoria si dovrebbero basare sul libero mercato, ma che, di fatto, tendono a favorire esclusivamente i grandi capitali. Gli unici che, durante la crisi economica globale, non hanno subito flessioni e si sono perfino rafforzati. L’ideologia neoliberista, definitivamente abbracciata anche dal III Plenum del Partito Comunista cinese nel 2013, appare sempre più egemone e sempre più anacronistica o inadeguata a risolvere la crisi economica avviata dal fallimento della Lehman Brothers il 15 settembre 2008. Se solo si considerano i dati relativi al mondo del lavoro per il 2013, pubblicati dall’ILO, infatti, si può notare che, accanto ad una stagnazione dei dati macroeconomici a livello mondiale, si è registrata il picco storico del numero dei disoccupati. Il Global Employment Trends, pubblicato agli inizi del mese di gennaio 2014, infatti,ha ratificato il raggiungimento della triste soglia di 202 milioni di disoccupati, cinque milioni in più rispetto al 2012 Il 2013 è stato, quindi, un anno di transizione dove l’incognita maggiore era costituita dai propositi delle nuove leadership cinese, giapponese, sud-coreana, iraniana, pachistana e malese). Tra queste, la nuova dirigenza cinese suscitava curiosità non solo per la novità in sé ma per l’imperscrutabilità che, fino alla sua elezione, l’aveva caratterizzata. In realtà, la dimensione liberista del pensiero del neopresidente cinese Xi Jinping, soprattutto in materia di politica economica, era ben chiaro da alcuni anni. La lotta contro il gruppo del suo rivale Bo Xilai, iniziata nel 2012 e proseguita nel corso del 2013, infatti non era altro che il tentativo (riuscito) di tacitare una linea di pensiero statalista o anti liberista. Tuttavia, il dilemma maggiore, soprattutto agli occhi degli Stati Uniti, era rappresentato dalla linea che la Cina avrebbe seguito nell’ambito della sicurezza internazionale. Rimanevano aperte, a questo proposito, le questioni relative alle dispute territoriali e, soprattutto, il tema più delicato relativo alla libertà di navigazione marittima. L’egemonia statunitense sui mari, infatti, costituisce l’elemento di maggior forza degli Stati Uniti. Come vedremo meglio in seguito, su questo elemento, infatti, il governo di Washington ha elaborato le sue strategie militari per contrastare ogni tentativo (tra cui quello ipotetico della Cina) di minare la libertà delle rotte marittime. Le amministrazioni centrali della Cina e degli Stati Uniti, in particolare, durante il 2013, si sono osservate attentamente, prima a distanza e poi da vicino, durante un summit tra Barack Obama e Xi Jinping nel giugno 2013, foriero più di polemiche che di risultati concreti. Entrambi i leader, infatti, nell’inconsueta residenza di Rancho Mirage, un’oasi in pieno deserto californiano, avevano la testa rivolta altrove, alle questioni interne. Il presidente statunitense era alla ricerca di soluzioni alla crisi più grave del capitalismo, causata dall’ideologia e dalle politiche eoliberiste.
Il presidente cinese, dal canto suo, era alle prese con le riforme per attuare le stesse politiche neoliberiste in Cina. Tuttavia, se da un lato gli Stati Uniti hanno limitato le loro iniziative in Asia, la Cina ha continuato imperterrita nel suo processo di accaparramento di risorse energetiche, soprattutto dall’Asia Centrale, oltre che nelle sue politiche di investimenti, di elargizione di prestiti finanziari e di aiuti in varie forme a una molteplicità di stati di tutti i continenti, nessuno escluso. Ma mai, come nel 2013, si può dire che la Cina si sia spinta oltre, tanto che i suoi progetti di conquista dello spazio l’hanno portata fino al punto di toccare la luna con un dito. [... ] In termini gramsciani, l’egemonia culturale, cioè il consenso della comunità dei paesi asiatici nei confronti della Cina, se si escludono i sentimenti di reciproca diffidenza tra cinesi e giapponesi, è risultata ampiamente rafforzata. Al di là dei successi economici cinesi, il 2013 è stato un anno caratterizzato da tre elementi di fondamentale importanza negli equilibri internazionali: il primo è il ritorno dell’Iran nella comunità internazionale, salutato dallo storico colloquio, per la prima volta dopo trentacinque anni, tra i rispettivi presidenti, in questo caso tra Obama e il neo presidente iraniano Hassan Rouhani. Il secondo elemento è costituito dall’incognita del governo giapponese di Shinzō Abe, anch’esso alle prese con varie turbolenze politiche interne, con la stagnazione economica e con la svalutazione dello yen. Il terzo è rappresentato dalle tensioni politiche indiane, frutto della crisi delle leadership del principale partito nazionale, il Congresso, e dal deteriorarsi della situazione economica, di cui la svalutazione della rupia è stata la manifestazione più immediatamente visibile. A ben guardare, in definitiva, anche questi tre elementi hanno finito indirettamente per avvantaggiare la Cina.
[... ] Al di là di questi problemi, dal punto di vista delle relazioni internazionali sullo scacchiere asiatico, gli Stati Uniti subivano un ulteriore smacco nell’ambito delle trattative per la realizzazione della TPP (Trans Pacific Partnership).
Differentemente da quanto previsto dalla dirigenza americana, queste non si sono concluse con un accordo in occasione dell’incontro fra tutti i futuri membri a Singapore, nel dicembre del 2013. La TPP era stata voluta da Obama nel 2009 e prevedeva una nuova strategia per abolire tutte le tariffe che limitavano le esportazioni degli USA e tutti i lacci burocratici che ostacolavano gli investimenti statunitensi in vari settori (farmaci, film, tecnologie). Sulla stessa base della TPP, gli USA hanno preparato una bozza di accordo analogo anche con l’Europa (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Nel 2013, i paesi aderenti erano 12: Stati Uniti, Australia, Brunei Darussalam,Canada, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e Giappone. Tuttavia, la schiera dei partecipanti può essere ulteriormente ampliata, tanto che gli USA da anni hanno portato avanti negoziati con altri paesi rivieraschi per allargare il gruppo. L’unico paese ad essere stato escluso, ovviamente, è stato la Cina, scelta che ha pregiudicato la partecipazione di molti paesi asiatici. Questo accordo ha suscitato, durante il 2013, un dibattito da parte dei media filo-occidentali, sostanzialmente teso a illustrare i benefici economici che sarebbero derivati ai paesi che avrebbero aderito alla TPP. Tuttavia, a ben guardare, ciò che sorprende e per certi versi allarma maggiormente, in tutta questa vicenda, è il fatto che i contenuti dell’accordo siano sempre stati tenuti segreti. Di conseguenza, tutta la pubblicistica che ha celebrato l’avvento di questo accordo è stata con tutta evidenza alimentata ad arte da notizie fatte filtrare dagli ambienti governativi, in particolare americani. [Sul tema si veda l’approfondimento e il dibattito che la TPP ha suscitato in Vietnam, nel saggio di Michela Cerimele, in questo volume].
Alla fine del 2013, il tema della definizione delle ADIZ (Air Defense Identification Zones) da parte della Cina, nel Mar Cinese Meridionale, ha alimentato le tensioni che le dispute territoriali avevano già creato negli anni precedenti. Come è noto, infatti, nelle regioni del Mar Cinese Orientale e del Mar Cinese Meridionale, sono in atto delle dispute che hanno per oggetto sia alcune isole sia la definizione dei confini delle cosiddette Zone Economiche Esclusive (EEZ). Queste controversie, riaccesesi negli ultimi anni, da quando cioè sono stati individuati nuovi giacimenti gasiferi e petroliferi offshore, hanno coinvolto molti paesi della regione, tra i quali la Cina e il Giappone. [... ]
INDICE
Premessa. L’Asia stretta tra la Cina e gli USA
di Nicola Mocci
Il ritorno dell ’Iran
di Riccardo Redaelli
Turkmenistan: ascesa di un nuovo attore geopolitico
regional e?
di Fabio Indeo
Afghanistan. La costruzione di un nuovo equilibrio politico: il
negoziato con gli USA e la corsa verso le presidenzial i del 2014
di Diego Abenante
Pakistan: il terzo governo di Nawaz Sharif
di Marco Corsi
L’India nell ’anno della legge sulla sicurezza alimentare
di Michelguglielmo Torri
Bangladesh in fiamme: dallo scontro politico alla guerriglia urbana
di Marzia Casolari
Sri Lanka: l’involuzione democratica del governo Rajapa ksa
di Danila Berloffa
Myanmar: manovre presidenzial tra guerre etniche e riforme
di Piergiorgio Pescali
Thailandia: involuzioni democratiche
di Vitaliano Civitanova
La Malaysia in bilico: Najib Tun Razak alla prova delle elezioni
di Stefano Caldirola
Indonesia: la democrazia della pancasilia verso le elezioni del 2014
di Marco Vallino
La Cambogia Di Hun Sen, tra le pressioni degli Stati Uniti e gli aiuti della Cina
di Nicola Mocci
Il 2013 Vietnam ita tra liberismo economico e autoritarismo politico: l’anno dei paradossi
di Michela Cerimele
Filippine: Benigno Aquino III a testa alta nell ’anno del tifone
di Giorgio Vizioli
«Due sistemi politici un’economia»: autoritarismo cinese e democrazia taiwanese
alle prese con il neoliberismo
di Francesca Congiu
La penisola coreana tra «facce nuove» e un continuo déjà vu
di Marco Milani e Barbara Onnis
Il ritorno di Abe
di Giulio Pugliese
Il «vulcano sotto la neve»: in ricordo di Võ Nguyên Giáp
(1911-2013), combattente per la libertà,
campione della lotta anticoloniale
di Sandra Scagliotti
Indice dei nomi
«Asia Maior» e i volumi da essa pubblicati
Gli autori del presente volume